Facebook e Cambridge Analytica: dobbiamo temere per i nostri dati?
Negli ultimi anni, il dibattito sulla privacy dei dati è esploso, soprattutto alla luce dello scandalo tra Facebook e Cambridge Analytica. Questo evento ha sollevato domande importanti sulla sicurezza e la protezione dei nostri dati personali online.
I nostri dati sono preziosi e, se usati bene dalle aziende, aiutano anche noi utenti a ricevere solo i messaggi che possono interessarci, senza rischi per la privacy.
In questo articolo, esaminiamo le implicazioni di questo scandalo e discutiamo se dovremmo preoccuparci per la sicurezza dei nostri dati su piattaforme come Facebook.
La tecnologia e i nostri dati
L’avvento di Internet, l’esponenziale diffusione dei social e del digital marketing sono stati abbastanza repentini e, all’inizio, non erano chiare tutte le implicazioni che questi strumenti avrebbero avuto sulla nostra privacy.
La legislazione, quindi, si sta adattando man mano che si presentano problematiche, richieste e casi come quello di Facebook, Trump e Cambridge Analytica.
Il caso Facebook, Donald Trump e Cambridge Analytica.
Per avere una panoramica completa dell’accaduto, consigliamo la lettura dell’articolo Il caso Cambridge Analytica, spiegato bene.
Quanto successo è sicuramente molto grave. È ancora da chiarire in quale misura siano da distribuire le colpe tra le varie aziende e personalità, ma è chiaro che qualcuno ha agito al di fuori della legge o, almeno, al limite di essa.
Come detto prima, la protezione dei dati degli utenti è un tema che si sta sviluppando nel tempo e che, qualche anno fa, vedeva leggi sicuramente meno restrittive di quelle attuali. L’acquisizione dei dati che sembrano essere stati usati per la campagna presidenziale di Trump nel 2016, infatti, sono stati raccolti nel 2014 tramite un’app a cui le persone si iscrivevano volontariamente per ricevere un profilo psicologico. Nel 2014, la privacy policy di Facebook permetteva ai gestori di app come quella appena menzionata di raccogliere non solo i dati dell’utente che dava esplicitamente il consenso, ma anche della sua rete di amici (senza che questi dovessero a loro volta dare il consenso).
Questa possibilità è stata successivamente ritenuta troppo invasiva ed è stata eliminata.
Dobbiamo avere paura di navigare online o di usare i social network?
Essere consapevoli è un nostro diritto e dovere e anche la legge sta maturando molto in materia di protezione dei dati.
Pochi mesi dopo lo scandalo di Cambridge Analytica è entrato in vigore il GDPR, ossia la normativa che impone un nuovo approccio alla privacy e alla protezione dei dati.
È vero che quando visitiamo dei siti web, diamo un “mi piace” a una foto su Facebook o inseriamo un prodotto nel carrello di in un e-commerce veniamo profilati: vengono infatti raccolte le nostre preferenze e i nostri gusti. Questo però, se fatto nel rispetto della legge e nella completa trasparenza con l’utente, non è una pratica negativa: permette alle aziende di mostrare messaggi a cui l’utente è potenzialmente interessato.
Anche agli utenti è richiesta attenzione in merito alle informazioni che condividono
Se è vero che la legge e il nuovo GDPR sono molto severe nei confronti delle aziende, è vero anche che manca informazione ed educazione agli utenti delle app, dei vari canali social e di internet in generale. Anche gli utenti devono maturare la capacità di discernere tra eventi condivisibili ed eventi non condivisibili della propria vita.
La nostra società dovrà imparare ad usare gli strumenti digitali in maniera sempre più sicura e consapevole.
In conclusione, mentre è fondamentale essere consapevoli dei rischi e delle questioni di privacy associati alla gestione dei dati online, la combinazione di leggi più rigorose, trasparenza aziendale e consapevolezza degli utenti può contribuire a mitigare tali preoccupazioni.
La chiave è lavorare insieme per creare un ambiente digitale sicuro e rispettoso della privacy di tutti gli utenti.
Sara Pedron
Digital Marketing