In un periodo storico come quello che stiamo affrontando, caratterizzato (tra le altre cose) da surriscaldamento globale, crisi climatica ed emergenza ambientale, farsi domande sull’impronta che l’operato di ciascuno di noi lascia è diventato indispensabile.
“L’estate del 2022 è stata la più calda della storia in Europa. Il mese di luglio ha fatto registrare 2,26 gradi centigradi in più rispetto alla media italiana dal 1800” (WWF).
Noi ci abbiamo riflettuto: dietro all’idillio del digitale c’è un costo ambientale molto importante!
Per esempio, una ricerca dell’Università di Cambridge ha dimostrato che il Bitcoin consuma più elettricità all’anno di tutta l’Argentina, mentre l’artista e informatico Memo Akten ha calcolato che un singolo NFT ha un’impronta di carbonio pari al consumo totale di energia elettrica di un residente dell’UE per più di un mese.
Ma, volendo parlare di attività più vicine e frequenti nella nostra realtà quotidiana:
Fortunatamente, come in ogni altro settore o aspetto della vita quotidiana, esistono piccoli accorgimenti da seguire per limitare l’impatto di tutte le nostre azioni sull’ambiente, soprattutto se si tratta di attività imprescindibili come il nostro lavoro.
SocialCities come agenzia, nell’ottica di dare il suo piccolo contributo e fare la sua parte, si affida a Google Cloud Platform, tra le realtà più coinvolte in questa causa, basti pensare all’effetto positivo di Google Maps che già da qualche tempo, tiene conto dell’ecologia nel consigliare i percorsi.
Google Cloud ha raggiunto l’obiettivo di diventare carbon neutral, come reazione alla crisi climatica, già nel lontano 2007, acquistando compensazioni di carbonio sufficienti per compensare le emissioni di gas serra prodotte dalla sua fondazione nel 1998.
Il nuovo e ambizioso obiettivo di Google Cloud è, attualmente, quello di far funzionare tutti i suoi data center in tutto il mondo con il 100% di energia pulita, senza alcuna compensazione richiesta entro il 2030.
Raggiunti i propri obiettivi e lavorando a quelli successivi, Google non chiede di certo ai suoi partner di aspettare!
Infatti, oltre a compensare il 100% dell’elettricità consumata dai workload dei clienti su Google Cloud acquistando energia rinnovabile, mette a disposizione una suite di prodotti Carbon Sense che dà alle aziende la possibilità di misurare, documentare e ridurre la loro impronta di carbonio generata dall’utilizzo del cloud.
Inoltre, l’azienda sta aggiungendo funzionalità e condividendo tecnologie, metodi e finanziamenti per consentire alle organizzazioni di tutto il mondo di passare a sistemi più sostenibili e a zero emissioni di CO2, quindi aiutare i suoi clienti a comprendere e ridurre la loro impronta di carbonio.
Partendo da questo presupposto, Google Cloud ha recentemente aggiornato uno strumento che aiuta i clienti a selezionare i data center regionali e ha aggiunto icone che segnalano le opzioni con il minor impatto di carbonio. Infatti, l’azienda afferma che quando queste icone sono disponibili, i clienti hanno il 50% di probabilità in più di optare per una scelta pulita.
Per alimentare ciascuna Google Cloud Region, infatti, Google utilizza l’elettricità dalla rete in cui si trova la regione. Questa elettricità genera una certa quantità di emissioni di carbonio, a seconda del tipo di centrali elettriche che forniscono elettricità per quella rete. Per caratterizzare ciascuna regione, Google utilizza la metrica CFE%, che ci dice quale percentuale dell’energia che abbiamo consumato in un’ora è priva di emissioni di carbonio.
Due nuove Google Cloud Region di Milano e Torino sono state presentate il 15 giugno all’evento digitale Il cloud.
Le due Cloud Region Italiane si uniscono alle 34 region e 103 zone, attraverso cui Google Cloud fornisce servizi agli utenti di oltre 200 Paesi e territori nel mondo. L’Italia è così diventata il primo Paese della regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) ad ospitare due Google Cloud Region.
Di seguito vediamo alcuni strumenti implementati da Google ideati per guidare i clienti in una scelta più “green”.
Un set di strumenti studiati per informare i clienti sulle implicazioni ambientali del loro utilizzo dei servizi di Google Cloud Platform. Grazie a Carbon Footprint è possibile:
Google Cloud ha pensato un aggiornamento orientato alla sostenibilità per questo strumento già esistente che utilizza il machine learning per per identificare, con un elevato grado di sicurezza, i progetti che potrebbero essere abbandonati in base all’API e all’attività di rete, alla fatturazione, all’utilizzo dei servizi cloud e ad altri segnali. Grazie all’aggiornamento, l’Unattended Project Recommender stimerà anche le emissioni lorde di carbonio che verrebbero eliminate se un cliente eliminasse questi lavori fantasma.
Questo ulteriore nuovo strumento di Google Cloud offre funzionalità avanzate per l’analisi dei dati satellitari e geospaziali, fondamentali per iniziative di sostenibilità di vario tipo. La sua storia inizia nel 2009, oggi, ben tredici anni dopo, oltre 50.000 utenti lo utilizzano per fare di tutto, dall’osservazione degli habitat, alla previsione delle epidemie di malaria.
Naturalmente, il cammino verso un mondo digitale (e non solo) più sostenibile è ancora lungo e tortuoso. Ma, nel nostro piccolo, la scelta di partner come Google Cloud Platform, impegnati in cause in cui anche noi crediamo, è il nostro piccolo contributo nel tentativo di creare un futuro, oltre che digitale, anche un po’ più sostenibile.