I nostri dati sono preziosi e, se usati bene dalle aziende, aiutano anche noi utenti a ricevere solo i messaggi che possono interessarci. Senza rischi per la privacy!
In risposta al collega Simone che, in un articolo condiviso nel nostro blog, pone la lente di ingrandimento sul tema molto sentito del trattamento dei nostri dati personali, analizzo l’avvenuto offrendo un altro punto di vista.
Ecco, quindi, la mia opinione.
L’avvento di Internet, l’esponenziale diffusione dei social e del digital marketing è stata abbastanza repentina e, all’inizio, non erano chiare tutte le implicazioni che questi strumenti avrebbero avuto sulla nostra privacy.
La lesiglazione, quindi, si sta adattando man mano che si presentano problematiche, richieste e casi come quello di Facebook, Trump e Cambridge Analytica.
Approfondisci leggendo i seguenti articoli:
Per avere una panoramica completa dell’accaduto, consiglio la lettura di questo articolo: Il caso Cambridge Analytica, spiegato bene.
Quanto successo è sicuramente molto grave. È ancora da chiarire in quale misura siano da distribuire la colpa tra le varie aziende e personalità, ma è chiaro che qualcuno ha agito al di fuori della legge o, almeno, al limite di essa.
Come detto prima, la protezione dei dati degli utenti è un tema che si sta sviluppando nel tempo e che, qualche anno fa, vedeva leggi sicuramente meno restrittive di quelle attuali.
L’acquisizione dei dati che sembrano essere stati usati per la campagna presidenziale di Trump nel 2016, infatti, sono stati raccolti nel 2014 tramite un’app a cui le persone si iscrivevano volontariamente per ricevere un profilo psicologico.
Nel 2014, la privacy policy di Facebook permetteva ai gestori di app come quella appena menzionata di raccogliere non solo i dati dell’utente che dava esplicitamente il consenso, ma anche della sua rete di amici (senza che questi dovessero a loro volta dare il consenso). Questa possibilità è stata successivamente ritenuta troppo invasiva ed è stata eliminata.
La mia risposta è: no. Essere consapevoli è un nostro diritto e dovere e anche la legge sta maturando molto in materia di protezione dei dati. Pochi mesi dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, ad esempio, è entrato in vigore il GDPR, ossia la nuova normativa che impone un nuovo approccio alla privacy e alla protezione dei dati.
È vero che quando visitiamo dei siti web, diamo un mi piace a una foto in Facebook o inseriamo un prodotto nel carrello di in un e-commerce veniamo profilati: vengono infatti raccolte le nostre preferenze e i nostri gusti. Questo però, se fatto nel rispetto della legge e nella completa trasparenza con l’utente, non è una pratica negativa: permette alle aziende di mostrarci messaggi a cui potenzialmente siamo interessati e non, al contrario, prodotti che non soddisfano le nostre esigenze.
Quante volte, grazie a una pubblicità online, avete conosciuto un prodotto o servizio di cui siete rimasti soddisfatti? E quante volte, invece, siete stati disturbati da pubblicità che non vi interessavano? Ebbene, la raccolta delle preferenze aiuta le aziende a farci vedere quello che ci piace e a non tediarci con messaggi inutili, seguendo al meglio le buone pratiche di Inbound Marketing.
Se è vero che la legge e il nuovo GDPR saranno molto severe nei confronti delle aziende, è vero anche che manca informazione ed educazione agli utenti delle app, dei vari canali social e di internet in generale.
Anche gli utenti devono maturare la capacità di discernere tra eventi condivisibili ed eventi non condivisibili della propria vita.
Ad esempio, pubblicare foto dei propri figli, nipoti o, in generale, di bambini, non è assolutamente consigliato. Anche quando si parte per le vacanze è meglio non sbandierarlo al mondo intero… onde evitare che lo venga a sapere chiunque.
Sono fiduciosa sul fatto che la nostra società imparerà ad usare gli strumenti digitali in maniera sempre più sicura e consapevole.
Sara Pedron
Digital Marketing